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29 agosto 2024

Urmet: dal recupero di materiali telefonici alla produzione del primo videocitofono

Urmet: dal recupero di materiali telefonici alla produzione del primo videocitofono

Da quasi 90 anni Urmet opera sul territorio italiano per fornire soluzioni avanzate in termini di sicurezza e comunicazione.  
La storia dell’azienda e della sua struttura organizzativa attraversa gli anni più tormentati del panorama italiano e quelli della ripresa economica dopo la II Guerra Mondiale che aprirà le porte all’espansione di Urmet.  

In questo articolo cercheremo di ripercorre alcune delle tappe più significative che hanno caratterizzato la nascita e lo sviluppo di Urmet attraverso un viaggio storico e sociale, partendo dal recupero di materiale elettrico fino alla realizzazione dei primi citofoni e videocitofoni.  

Le origini di URMET

Urmet viene fondata nel 1937 con il nome Società Anonima per l’Utilizzazione e il Recupero del Materiale Elettronico Telefonico, nata dalle menti di tre uomini legati tra loro da interessi comuni: Alfiero Mondardini, Vittorio Caramella e Mario Pinto.  
Solo più avanti, la sempre più crescente necessità di riutilizzare le apparecchiature già presenti in circolazione per le comunicazioni telefoniche, spinse i tre imprenditori a registrare ufficialmente la società alla Camera di Commercio, con il nome di Urmet , acronimo appunto del nome originale esteso.  

Cosa vuol dire l'acronimo U.R.M.E.T?

Immaginiamo un treno partito da Torino su cui viaggiano il Cavalier Caramella, Alfiero Mondardini e il figlio Massimo diretti in Romagna. Il tema centrale della discussione è la scelta del nome da dare a quell’azienda che si occupa di recupero e ripristino dei materiali.  
È proprio attraversando le colline della Pianura Padana, passando per l’Appennino fino all’Adriatico che l’Ingegner Mondardini ebbe un’intuizione: l’azienda si sarebbe chiamata U.R.M.E.T., acronimo di Utilizzazione e Recupero Materiale Elettro-Telefonico, il modo migliore per descrivere l’attività principale svolta dalla società ai tempi.

Primi anni e l'attività di rigenerazione  

Durante gli anni antecedenti alla II Guerra Mondiale, Urmet e l’Italia si trovano a fronteggiare le sanzioni economiche imposte al paese dopo la Guerra d’Etiopia. L’azienda sfrutta questa situazione di chiusura delle frontiere e il divieto di importazione delle materie prime e delle apparecchiature voluto da Mussolini per riconvertire prodotti esistenti impiegando la tecnologia dell’epoca.  
La sede scelta per compiere questo miracolo del recupero e della conversione dei materiali è in Via Sagra di San Michele 55, negli ex locali di uno studio per riprese cinematografiche, dove l’azienda lavora a pieno ritmo con Società Telefoniche e, occasionalmente, con enti statali e militari.  

Attraverso un processo di rigenerazione, gli apparecchi telefonici passano prima nel reparto smontaggio e pulizia, poi vengono rimontati utilizzando pezzi di ricambio recuperati e verificati. Per le componenti metalliche non recuperabili viene realizzato un piccolo laboratorio meccanico dotato di torni e trapani, mentre due macchine avvolgitrici presenti all’interno dello stabile producono una “bobina antilocale”, un elemento fondamentale nella realizzazione del telefono che serve per ridurre l’effetto eco della voce.  

Riparazione e manutenzione apparecchiature per la Stipel 

Uno dei primi passi nel mondo della rigenerazione delle componenti compiuto da Urmet lo si deve a Mario Pinto, già titolare dell’affermata Mario Pinto Mandrini, il quale favorirà l’inserimento della neonata Urmet all’interno dei registri contabili della Stipel (Società Telefonica Interregionale Piemontese e Lombarda), che insieme ad altre quatro societò private gestiva dagli anni ‘20 il servizio telefonico italiano. 

Inizialmente, i prodotti ottenuti per la Stipel danno origine a modelli di telefoni realizzati combinando fra loro pezzi vecchi ed elementi nuovi, che permetteranno all’azienda Urmet di crescere fino a contare circa 60 dipendenti. 
 
Il grande afflusso di parti ricavate e riutilizzate farà sì che la rigenerazione delle componenti diventi una delle principali attività di Urmet.

Le attività di URMET durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale 

A causa dei continui raid alleati che sovrastano Torino, la Urmet è costretta ad abbandonare la sede di Via Sagra di San Michele, facendovi ritorno solo dopo il 1945.  
È in questi anni che Urmet sviluppa una nuova attività: pur mantenendo la rigenerazione come attività principale, riesce ad inserirsi nel settore dei primi centralini telefonici manuali e a fornire cablaggi speciali alle società telefoniche, in un momento in cui la difficoltà di reperimento delle materie prime costringe le società concessionarie a sottostare alle imposizioni dell’economia bellica.  

In una nazione ormai in ginocchio negli anni del dopoguerra, con impianti industriali e trasporti estremamente danneggiati, c’è bisogno di rimodernare le poche strutture ancora in piedi. Oltre al Piano Marshall con i suoi aiuti finanziari, le Società telefoniche possono contare sui residui bellici lasciati dall’esercito alleato nei cosiddetti campi ARAR, ideali per essere impiegati nella ricostruzione.  

Come in tanti altri settori, anche per Urmet i primi mesi del dopoguerra segnano un periodo di profonda crisi dovuto soprattutto al nuovo contesto politico-sociale. Sarà grazie al lavoro di rigenerazione che l’azienda riuscirà a tornare in campo, in particolare con l’introduzione dei primi telefoni a batteria centrale e locale nelle zone rurali, un’invenzione del duo Mondardini-Caramella.  

Dal recupero alla produzione: il primo telefono BCA Urmet

Nel 1949 Urmet sviluppa il primo telefono a batteria centrale automatica (BCA), evoluzione dei vecchi apparecchi telefonici diffusi in campagna, segnando così un vero e proprio punto di svolta per la società che mette sul mercato tutta la sua autonomia progettuale e la competenza tecnologica.  

Nonostante le grosse vendite anche all’estero, i telefoni Urmet non sono adottati dalle Società Concessionarie in mano alle case produttrici straniere. Mentre queste continuano a produrre centrali a commutazione per il collegamento automatico degli utenti fra loro, Urmet decide di investire sui centralini a batteria centrale che possono essere utilizzati all’interno di piccole attività, come alberghi o enti pubblici, arrivando nel tempo a sviluppare piccole tecnologie direttamente sugli apparecchi telefonici (suonerie, indicazioni dell’ora esatta, numeri occupati, chiamate urgenti...). 

L'arrivo del telefono pubblico: il primo modello U+I di Urmet 

La vera sfida che affronta Urmet a cavallo tra gli anni ’50 e ’60 è quella di trovare nuove soluzioni e attività da integrare al lavoro di rigenerazione, concentrandosi particolarmente sui centralini a batteria centrale e servizi speciali per convincere le aziende telefoniche della validità dei prodotti Urmet.  

In questo periodo si sente sempre più l’esigenza di un telefono pubblico e moderno, a causa delle intense migrazioni che da Nord a Sud invadono l’Italia, con la crescente necessità di rendere le comunicazioni interurbane più veloci e flessibili. Nacque così nel 1958 il primo telefono urbano a gettoni targato Urmet, “U”, per sole chiamate urbane, per poi trasformarsi in “U+I” per coprire anche le chiamate interurbane con la realizzazione di un telefono robusto e di facile manutenzione, noto ancora oggi per la sua caratteristica vernice martellata color nocciola.  
Questo nuovo telefono pubblico diventerà, così, il simbolo di una delle più avanzate tecnologie telefoniche.

Urmet diversifica la produzione: l'arrivo di citofoni e videocitofoni 

Grazie ad un’intuizione della famiglia Mondardini prende sempre più piede, all’interno di Urmet, l’idea di una “telefonia domestica”, ovvero la possibilità di controllare l’accesso agli edifici attraverso un sistema di identificazione degli inquilini con controllo citofonico e apertura delle porte esterne direttamente dall’apparecchio interno alle case.  
Un alimentatore, un citofono (con microfono e altoparlante) e un dispositivo parla-ascolta incorporato nella pulsantiera permettevano la comunicazione.  

La prima pulsantiera Urmet nel 1958: l'innovazione al servizio degli installatori

Se da un lato il citofono è stato una grandissima invenzione, dall’altro ci sono stati non pochi problemi per gli installatori che si sono dovuti confrontare con cavi e nominativi degli utenti sulla pulsantiera.  
Nasce da qui la necessità di creare un sistema più efficace e pratico affinché l’elettricista potesse lavorare comodamente. Ecco che da Urmet arriva l’idea rivoluzionaria: il nominativo presente in corrispondenza del tasto sulla pulsantiera viene separato dall’impianto, mantenendo il tasto corrispettivo sul telaio, da cui si diramano i fili da collegare. Una modifica molto apprezzata dagli elettricisti italiani: sulla tastiera rimanevano, infatti, soltanto i contatti dei tasti, così da permettere agli istallatori di smontare e rimontare agilmente la pulsantiera e svolgere gli interventi richiesti.  

L'arrivo dei citofoni Urmet 

L’impiego dei primi citofoni non ha avuto un’ampia diffusione intorno agli anni ’60, quando ancora era presente il custode come figura di riferimento in molti palazzi.  
A seguito dell’introduzione dell’obbligo di contributi salariali alle portinerie, tuttavia, molti condomini decisero di installare i centralini citofonici. Mediante questo strumento, infatti, il custode rispondeva al citofono controllando l’accesso all’edificio e comunicando direttamente con il condomino per qualsiasi segnalazione.  
Da poche centinaia di impianti, le richieste di citofoni aumentano con ordini sempre più crescenti, che danno origine a nuove forme di apparecchi basati sul concetto di vivavoce. Tenendo premuto un tasto veniva trasmessa una voce parlando direttamente all’interno dell’altoparlante elettrico.  
 
Anche Urmet presenta sul mercato il proprio modello di vivavoce, eliminando il tasto da premere che permette il passaggio della voce in modo da rendere la comunicazione più agile. 
Un’altra sfida da affrontare, però, è quella riguardante il cosiddetto “effetto Larsen”, il rumore amplificato della voce nel momento in cui si parla attraverso un apparecchio elettronico.  
Anche in questo caso Urmet pensa ad una soluzione: aumentando le dimensioni della tastiera esterna si eviterà che la persona stia troppo vicino al ricevitore mentre sta parlando.   

Il primo videocitofono Urmet 

Forti dei successi della telefonia pubblica, domestica e della rigenerazione, Urmet avvia la produzione del nuovo modello di citofono italiano, rilasciato sul mercato nel 1965. Un monitor e un citofono collegati all’interno di una sorta di “mobiletto” in legno plastificato danno origine al primo prototipo di videocitofono. A causa di alcune prime opposizioni all’interno della società e i costi elevati di produzione e installazione, bisognerà attendere il 1969 per vedere l’applicazione del nuovo apparecchio all’interno di abitazioni di prestigio.  
Nel corso degli anni ’80 e ’90 il videocitofono diventerà un elemento di telefonia domestica di larga diffusione e in continuo sviluppo, portando Urmet a crescere sempre più nelle vendite e ad avanzare nella ricerca tecnologica con prodotti sempre nuovi.  

 

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